17 Mar “VITA DA PRIVACYISTA” puntata 8 – 1 esperto/a alla settimana, 20 domande fuori dagli schemi
“VITA DA PRIVACYISTA” – Ottava puntata – 1 esperto/a alla settimana, 20 domande fuori dagli schemi
A cura di Luca Bolognini
La rubrica-intervista che raccoglie idee originali dai migliori esperti di privacy e diritto dei dati in Italia e all’estero. L’esperta di questa settimana è…
- Nome, cognome, ruolo oggettivo e ruolo “putativo/desiderato”
Luisa Di Giacomo, avvocato e DPO. Mi piace definirmi Cyberavvocato, ma da grande volevo fare la scrittrice e coltivo ancora segrete ambizioni in tal senso. Chissà.
- Perché e quando iniziasti a occuparti di privacy e protezione dei dati personali?
Perché ti ho conosciuto, Luca. A parte le battute, venni chiamata, insieme al commercialista, ad assistere un cliente che aveva la Guardia di Finanza in azienda. A livello contabile era tutto in ordine, ma il cliente prese una super multa per l’informativa del sito Internet non corretta. Non nascondo che fui io la più stupita e compresi che la materia andava approfondita. Era il 2012. Mi iscrissi a un master sulla protezione dei dati dove un certo avvocato Bolognini mi insegnò un po’ di cose. Il resto, come si dice, è storia.
- Cosa ti annoia della privacy/data protection?
Il formalismo. Ridurre tutto a “le faccio firmare la privacy” è davvero svilente, oltre che scorretto (e pericoloso).
- Gli anglicismi sono inevitabili per chi si occupa di questa materia (come il latinorum per altri ambiti), o ci stiamo sbagliando?
Sì. Non li amo particolarmente e quando posso non li uso, ma trovo inutile opporsi all’inevitabile. Mal sopporto anche il latinorum, spesso usato a casaccio. Va bene che il latino è una lingua morta, ma perché accanirsi nello scempio di cadavere?
- Pensi che la privacy stia a cuore della gente? È davvero “pop” o non interessa niente?
Penso che il sentimento nei confronti della privacy sia molto ondivago. Ci sta a cuore quando, per dire, ci arriva l’ennesima telefonata del call center appena ci sediamo a tavola per la cena. Meno (eufemismo dell’anno) quando pubblichiamo a raffica le foto della nostra vita minuto per minuto. Ma la verità è che la gente non capisce la privacy fino in fondo né la sua importanza e la frase “Tanto non ho niente da nascondere” è ancora un grande cavallo di battaglia. Falso, peraltro, perché tutti abbiamo qualcosa da nascondere.
- Come gliela spieghi, questa disciplina, ai bambini delle elementari?
Con pazienza e condivisione. Nel senso che secondo me invece di proibire bisognerebbe condividere. L’approccio alla tecnologia coi bambini molto piccoli di solito è di due tipi: la si vieta tout court, oppure la si usa come babysitter. Una via di mezzo potrebbe essere, appunto, condividerla con loro. Guardare i video con loro su Youtube e spiegare loro i motivi per cui no, è ancora troppo presto per loro per diventare delle piccole star del web. Raccontare storie, inventarsi personaggi. Vale tutto, basta parlarne.
- L’ora, secondo te, più buia per la privacy in Europa negli ultimi 10 anni?
Lo scandalo Cambridge Analytica, ma sarò sincera: io mi deprimo ogni volta che le mie amiche pubblicano l’ennesima foto dei figli, a volte anche molto piccoli, sui social. E’ una cosa che davvero non riesco a capire. Nessuno di noi lascerebbe mai un bambino da solo in una grande città: perché farlo nel web?
- L’ora, secondo te, più luminosa per la privacy in Europa negli ultimi 10 anni?
Direi l’approvazione del GDPR, se non altro per i principi che ha statuito.
- I consulenti, i DPO e i privacy officer stanno diventando decine di migliaia. Un male o un bene?
Se la proliferazione andasse di pari passo con la competenza e la preparazione, sarebbe senza dubbio un bene. Ma non sono del tutto sicura che sia così, quindi il rischio è di banalizzare una materia che di tutto ha bisogno, tranne che di essere ancora percepita come inutile e farraginosa.
- I dati personali sono monete?
Sì. Non sarà politicamente corretto da dire, ma lo penso.
- Quando leggi notizie di dure sanzioni alle imprese, esulti o ti preoccupi?
Mi preoccupo. Le sanzioni dimostrano quanta strada c’è ancora da fare. Non è un male di per sé avere ancora molto lavoro da fare, ma credo sia un male che le imprese non si rendano conto di doverlo fare (e preferiscano rischiare e in alcuni casi prendere sanzioni, invece di intraprendere la strada dell’adeguamento).
- Con sincerità e senza retorica: credi che il “consenso preventivo dell’interessato” sia ancora una buona idea nel “tutto digitale”?
L’idea di per sé è buona, ma la strada per il paradiso è lastricata di “accetta tutto” senza leggere.
- Con sincerità e senza retorica: è davvero possibile sintetizzare e rendere semplici i tanti contenuti obbligatori di un’informativa privacy?
Sì, secondo me si può fare. Quel certo avvocato Bolognini mi ha insegnato che si può e si deve essere creativi quando si fa consulenza in materia di protezione dei dati.
- Leggi sempre le informative privacy e le cookie policy sui siti e sulle app che utilizzi personalmente?
Colpevole, Vostro Onore!
- DPO più top manager o più mini-garante?
Top manager. Secondo me l’unico modo per i DPO di fare bene il loro lavoro è di entrare il più possibile nell’impresa in cui svolge il suo ruolo. Non basta dire di no a tutto per fare il DPO.
- Un tuo consiglio di metodo a un giovane DPO.
Approfondire la formazione su diverse aree: giuridica, tecnica, organizzativa e umana (le cosiddette soft skills. Tanto per rimanere in temi di anglicismi). E ricordarsi che si diventa DPO solo facendo il DPO, non prima. È una cosa che ripeto spesso, ci credo molto.
- L’Unione Europea fa troppe regole e frena l’innovazione: vero o falso?
Falso. Cioè, le regole ci sono, ma l’innovazione non la fermi a colpi di leggi. Al massimo ti fermi tu e lei va avanti, ma questa è un’altra storia.
- Il GDPR è al passo con l’Intelligenza Artificiale e il metaverso?
No, ma i principi restano validi.
- Tra dieci anni: protezione dei dati o protezione degli effetti personali?
Tra dieci anni le due cose saranno del tutto inscindibili, quindi entrambi.
- Puoi consigliare un libro, che non sia “L’Arte della Privacy”, ai tuoi colleghi e collaboratori. Quale e perché?
1984. Perché è visionario e perché per fortuna non si è (ancora) realizzato.